Fare cose buone deve accompagnarsi a smettere di fare cose cattive
La lezione del professor James Hagen che, dalla Hamline University, ha raggiunto l’Università di Modena e Reggio Emilia per insegnare responsabilità sociale. Quella vera
Dalla filantropia a un nuovo livello di Csr, ovvero di responsabilità sociale d’impresa. Il professor James Hagen, docente della Hamline University a St. Pauls in Minnesota, è docente a contratto di responsabilità sociale all’Università di Modena e Reggio Emilia.
“La Csr rappresenta una crescente necessità, siamo entrati in fase 3.0 che segue le delusioni delle grandi promesse fornite dalle nuove tecnologie – spiega il professor Hagen parlando all’assemblea dell’associazione Aziende modenesi per la Rsi -. Per capire meglio le prospettive dobbiamo partire dalle basi della responsabilità sociale d’impresa, quella della filantropia che nasce nella mia cultura, negli Stati Uniti. Penso ad Andrew Carnegie, il grande filantropo e magnate dell’acciaio: lui mirava al massimo profitto per accumulare grandissima ricchezza, che credeva di restituire con donazioni filantropiche. La filantropia è paternalistica, i filantropi sostengono di sapere cosa fare a favore della comunità. Nel Minnesota, la mia terra, si creò il club del 5%, composto dalle grandi industrie della zona che si impegnavano a dare 5% dei profitti prima di essere tassati per cause filantropiche e offrire così servizi alla comunità”.
Hagen prosegue: “Negli anni ’70 e ’80 è nata una nuova mentalità, secondo cui la filantropia è buona ma non sufficiente. Alcune catene introdussero le ‘social mission’, ovvero fare del bene non solo con finanziamenti ma cercando di ottenere obiettivi sociali, ad esempio facendo sì che i propri fornitori avessero un pagamento adeguato per il loro lavoro. Da qui è nata una Csr diversa, non più paternalistica ma legata anche a consumatori istruiti e attenti a temi come i diritti civili, l’ambiente… Oggi la Csr è parte del brend, se ne parla sui media, è parte importante della cultura aziendale”.
Ma, come si dice, c’è un ma. Che il professore indica con grande lucidità e coraggio: “Oggi molte aziende occidentali dicono di volere un futuro sostenibile, ma si corre il rischio che ci sia chi parla di Rsi senza farla, solo in modo retorico, una retorica in contrasto con l’esplosione della sharing economy. Vi sono nuovi modelli d’impresa che mediano tra produttore e consumatore (pensate ad Amazon Google, Airbnb, Uber… solo per fare qualche nome). Queste aziende dicono di voler fare del bene all’umanità, ma pensano al profitto. Si atteggiano a eroi della Rsi, ma anche se la fetta che redistribuiscono è grande un numero sempre maggiore di persone vede restringersi la propria fetta di torta”. In pratica la tesi è che a fronte siamo di fronte a una struttura sociale sempre meno sostenibile a causa di disuguaglianze che si acuiscono, come viene evidenziato nel libro ‘Winners take all’ del giornalista del New York Times Anand Giridharadas.
“Se Apple e Amazon si mettono d’accordo per vendere meno dispositivi usati di Apple, questa cosa è contraria a Rsi e all’economia circolare. Fare cose buone deve accompagnarsi a smettere di fare cose cattive: questa è la vera responsabilità sociale dell’impresa. La Rsi deve guardare al passato recente e creare un mondo migliore, deve mirare a società più prospere e sostenibili. Dobbiamo guardare però al breve termine, è adesso che occorre agire per la sopravvivenza”. Non c’è tempo, insomma, e il professor Hagen conclude: “Non è più il tempo della filantropia, ma di cambiamenti sistemici delle politiche. I tempi sono cambiati e la Rsi può essere riportata in auge, ma servono riforme sistematiche. Dobbiamo sostenere e abbracciare i cambiamenti che le aziende portano avanti e far sì che chi fa bene per se stesso faccia bene anche per gli altri”.